Treviso, maggio 2015
Petizione dei Territorialisti Veneti alla Giunta Comunale di Treviso
referente prof. Angelo Marino (angelo@angelomarino.com)
via Ottavi, 28
31100 – Treviso
tel. 0422-401259
cell. 340.6549013
Oggetto: un Assessorato per i rapporti con il Terzo Settore
Abstract – Riteniamo che un Assessorato come quello indicato in oggetto sia un utile strumento, di cui dovrebbe dotarsi ogni città capoluogo di provincia, per colmare la distanza che separa il cittadino dalle istituzioni.
A maggior ragione questo vale per una città come Treviso che, a quasi due anni dall’insediamento di una Giunta di centrosinistra, aspira a connotarsi come città della rinascita dopo il ventennio leghista.
Riteniamo inoltre che sia l’unico modo tecnicamente possibile per instaurare un dialogo costante fra cittadini e amministrazione di prossimità.
Il Terzo Settore (come meglio diremo più avanti) è un multiverso frammentato e disperso di istanze, osservatori locali, saperi diffusi e saperi esperti che costituiscono la risorsa immateriale più preziosa della comunità.
Questo “capitale civico” – come lo definisce Salvatore Settis – non va sprecato, ma qualificato e tradotto in pratiche amministrative.
I saperi inattivi – Il territorio custodisce un “capitale civico” non ancora esplorato nelle sue potenzialità di risorsa progettuale (economica, energetica, produttiva, abitativa, amministrativa, politica) capace di competere con le forze destabilizzanti del mercato globale. Allo stato questo patrimonio “radicato in meccanismi di trasmissione intergenerazionale di lungo periodo (famiglia, scuola, società)” La formula in uso per definire questo capitale umano, inutilizzato in tutto o in parte dai governi locali, è quella di Terzo Settore. Il Terzo Settore è, per definizione, un organo intermedio che si contrappone al settore privato, generalmente interessato al proprio utile, e al settore pubblico istituzionalmente deputato al bene comune. Per comodità, in questa sede, adoperiamo la locuzione “Terzo Settore” in senso molto più ampio rispetto a quello standard, fino a comprendere il “valore aggiunto territoriale” (Dematteis) rappresentato dai corsi di laurea che si occupano di patrimonio territoriale, ambientale e paesaggistico (Storia, Geografia, Estetica, Architettura, Urbanistica, Scienze del territorio e dei sistemi agro-forestali, ecc.), dalle Scuole di formazione professionale (Licei artistici, Istituti per il turismo, Istituti per la tutela e la difesa dell’ambiente, ecc.) e da tutte quelle Associazioni che lavorano sul territorio e che producono saperi contestuali. L’Università, in particolare, in quanto luogo dove reperire competenze di alto livello, potrebbe svolgere una funzione di primo piano nel fornire regole e saperi agli istituti di decisione per produrre servizi ecosistemici coerenti fra sviluppo economico e valorizzazione del patrimonio territoriale. Non solo, ma anche per promuovere peculiari “stili di sviluppo” inclusivi del processo rigenerativo delle risorse impiegate; per ridurre drasticamente le dipendenze dall’esterno e, con esse, l’impronta ecologica; per trasformare le qualità ambientali e territoriali in ricchezza durevole; per ricostruire le filiere agroalimentari locali; per ristabilire l’antica alleanza fra città e campagna, ecc. Le barriere da rompere – Sappiamo bene che “riunire intorno ai tavoli della decisione sul futuro di un luogo la maggiore articolazione possibile degli attori sociali è una via assai faticosa, ma efficace per trovare un equilibrio nei progetti di trasformazione. Non si tratta di distruggere i valori delle comunità esistenti ma di contribuire alla crescita della comunità possibile”[2] . È nel mancato coinvolgimento delle parti sociali, compresi i soggetti più deboli, la vera ragione per cui il concetto di territorio (e di territorialità) non ha ancora superato la sua dimensione di supporto ambientale alla produzione industriale per divenire un complesso sistema identitario in grado di generare dal suo interno le regole statutarie e le risorse indispensabili per il suo sviluppo durevole e sostenibile. Rimandano alla stessa causa – il mancato raccordo tra il potere pubblico e le parti sociali nei processi deliberativi – gli “effetti ambientali di lungo periodo, già accumulati nel passato, […] attualmente operanti, devastanti e parzialmente irreversibili, nelle forme e ritmi imprevedibili del loro andamento futuro”[3] : cambiamenti climatici, desertificazioni, riduzione della biomassa vegetale, estremi di temperatura, esondazioni, innalzamento dei mari e via elencando. Senza una programmazione unitaria, nessuna parte sociale può difendere, da sola, il capitale civico custodito in un sistema territoriale: il Terzo Settore perché non ne ha il potere; e le Amministrazioni locali perché, pur avendolo, non sempre hanno le competenze necessarie per usarlo nel modo più appropriato. Da qui la necessità di sussidiarsi a vicenda attraverso l’istituzione di un organo di consulenza permanente che svolga la funzione di interfaccia tra potere e cultura – tra governo del territorio e scienze del territorio – non solo per risolvere emergenze (ricostruire un argine, riparare un ponte, localizzare un parcheggio, risolvere un problema di traffico automobilistico e simili), ma per concertare progetti di politica generale e settoriale sulla base delle reciproche esperienze e competenze maturate nei rispettivi ambiti. La proposta avanzata dai Territorialisti Veneti con questa petizione è, pertanto, quella di istituire, a partire dalla Giunta comunale di Treviso, uno specifico organo intermedio, in pratica un nuovo Assessorato per i rapporti con il Terzo Settore – nel senso lato che abbiamo indicato prima – che svolga la funzione di coordinamento, valutazione e trasmissione delle esperienze e delle attività partecipative della popolazione. Come scrive Salvatore Settis in Paesaggio Costituzione cemento[4] , “Titolare del diritto alla tutela dell’ambiente e del paesaggio è la comunità dei cittadini; fruizione individuale e fruizione collettiva si intrecciano dunque in modo inestricabile”. Il rischio di disperdere il capitale simbolico di una città e del suo territorio è nella omogeneizzazione di tutte le differenze “secondo un pensiero unico nutrito dei feticci di una globalizzazione che vuole ogni luogo identico a ogni altro”. Per questo, puntualizza Settis, “i cittadini hanno il diritto/dovere di opporsi a chi disperde il capitale simbolico che altri cittadini di quella città hanno accumulato per secoli con il loro lavoro; ne hanno il diritto e il dovere in nome non solo del passato, ma soprattutto del futuro”. “Ma per preservare la propria unicità e proiettarla nel futuro bisogna conoscerla, considerarla un valore irrinunciabile”[5] . Da qui l’importanza delle Associazioni ambientaliste locali (Legambiente TV, WWF Villorba, Italia Nostra TV, Forum Salviamo Il Paesaggio, Decrescita Sostenibile, ecc.) capaci di fornire, con lo strumento dell’osservatorio, una mappa disegnata delle criticità e delle valenze del territorio. E da qui l’importanza dei Contratti di fiume, di falda, di foce, di lago, ma anche di bosco, di montagna, di fondovalle, di costa, in un territorio densamente irrorato da vie d’acqua come quello veneto. Riconoscere la funzione primaria del concetto di bioregione come ecosistema unitario “restituirebbe forza al territorio del bacino come entità fisiografica identitaria, abitativa, produttiva, amministrativa, politica; contribuirebbe inoltre a ricostruire le identità collettive di valle e degli entroterra costieri; a riconsiderare le città di pianura come ‘avamposti’ dei sistemi vallivi profondi di cui sono storicamente espressione, riconnettendo in una rete di relazioni sinergiche la montagna alla pianura, al mare” [6]. Lo smemoramento del codice genetico e della base naturale, morfotipologica, dei luoghi è la grande insidia del nostro tempo. Convegni, forum, simposi, dibattiti, per quanto dialettici e affollati, producono effetti di ridondanza, all’interno di un metadiscorso autoreferenziale, molto spesso iperspecialistico, piuttosto che di risonanza, intesa come dialogo vivo fra attori veri del cambiamento in grado di dare vita a nuove visioni strategiche e operative. È ormai chiaro che la transizione verso una convivenza sostenibile dipende in larga misura da una metamorfosi culturale che deve necessariamente partire dal basso – dall’effetto di risonanza all’interno della comunità e fra la comunità e le istituzioni – ossia dalla dimensione locale della convivenza civile. I custodi, i veri e propri numi tutelari del territorio e del suo irripetibile patrimonio naturale, ambientale e paesaggistico, sono i suoi abitanti, la “comunità strutturante”. Lo prevedono, peraltro, la Convenzione europea del paesaggio (2000) e il Codice dei beni culturali e del paesaggio (2004), che hanno delineato un nuovo quadro normativo di riferimento rispetto al quale tutte le Regioni stanno adeguando i propri strumenti di pianificazione e programmazione. La Convenzione europea del paesaggio, entrata nell’ordinamento giuridico del nostro Paese (Legge 14 del 2006), sintetizza in due articoli il necessario coinvolgimento della popolazione nei processi consultivi e deliberativi: nell’art. 5 dove, riconoscendo il valore giuridico del paesaggio, in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, stabilisce la “partecipazione del pubblico, delle autorità locali e regionali e degli altri soggetti coinvolti nella definizione e nella realizzazione delle politiche paesaggistiche […]”; e nell’art. 6 dove, riconoscendo il valore formativo e pedagogico del paesaggio, chiama direttamente in causa la Scuola e l’Università (“gli insegnamenti scolastici e universitari che trattino, nell’ambito delle rispettive discipline, dei valori connessi con il paesaggio e delle questioni riguardanti la sua salvaguardia, la sua gestione e la sua pianificazione, sono chiamati a svolgere un ruolo di comprimari nel processo di educazione e formazione della società civile”. Regioni come la Puglia e la Toscana si sono già adeguate a queste normative con l’approvazione dei rispettivi Piani Paesaggistici Territoriali: la Regione Puglia con delibera del 23 febbraio 2015 e la Regione Toscana con delibera del 27 Marzo 2015. Entrambi i piani (ai quali, va detto, hanno dato un contributo sostanziale molti membri della Società dei Territorialisti per definirne i contenuti e le metodologie d’applicazione) hanno comportato un enorme lavoro di scavo, “una discesa consapevole e colta” (Quaini) nel loro passato, per portare alla luce lo spessore storico e culturale dei rispettivi territori su scala locale e bioregionale. Il capoluogo della Marca, a quasi due anni dall’insediamento della Giunta di centrosinistra a guida Manildo, ha i requisiti politici e culturali per assumere il ruolo di capofila delle città venete – e dunque della regione Veneto – mettendo in campo un pacchetto di iniziative che la connotino come città della rinascita dopo il ventennio leghista. Restituire cittadinanza attiva ai soggetti sociali, che il governo precedente non aveva preso in considerazione nemmeno come pura ipotesi, riporterebbe in scena quegli “attori imprevisti” dalle precedenti normative[7] , ma che la nostra Costituzione, disgregando l’antico centralismo, aveva puntualmente previsto indicando nuove rotte alle pratiche della cittadinanza. Si tratterebbe, in definitiva, di dare a Treviso un volto nuovo e nello stesso tempo antico, riformulando la nuovissima nozione giuridica di “comunità di vita”[8] e promuovendola al rango di forma urbis ideale sulle linee guida del diritto romano e degli antichi Statuti comunali. L’istituzione di un organo di mediazione fra la comunità e l’Amministrazione comunale è improcrastinabile. Nelle condizioni attuali – i saperi specialistici frammentati e autocentrati, le associazioni ambientaliste disperse e costrette a “parlarsi addosso”, il governo locale che opera per contatti sporadici e intermittenti con la comunità, il consenso “ottenuto” a cose fatte piuttosto che sulle cose da fare – aspettare che qualcosa si avveri, che si presentino all’improvviso scenari di cambiamento, è come darsi in ostaggio al destino. (a cura di Angelo Marino) [1] Salvatore Settis, Se Venezia muore, Einaudi 2014, p. 107. È in questo saggio che l’autore sviluppa la categoria sociologica di “capitale civico”, sottolineando che esso è “qualcosa di più del ‘capitale sociale’, in quanto include la nozione di ‘cultura civica’, sentimento collettivo dei valori, dei principi e della memoria sociale che ha una dimensione culturale, politica ed economica. […] Il ‘capitale civico’ non si deprezza con l’uso, anzi, proprio come il capitale umano, con l’uso tende a crescere […]”, ivi. [2] Alberto Magnaghi, Il progetto locale, Bollati Boringhieri 2010, p. 84. [3] A. Magnaghi, La regola e il progetto (a cura di), Firenze University Press 2014, p. 33. [4] S. Settis, Paesaggio Costituzione cemento, Einaudi 2010, p. 276. È il primo della monumentale quadrilogia, comprendente Azione popolare (2012), Costituzione incompiuta (2013, con A. Leone, P. Maddalena e T. Montanari) e Se Venezia muore (2014), assolutamente ineludibile per conoscere la storia passata e presente del nostro Paese e per progettare il nostro futuro nel rispetto del dettato costituzionale. [5] Citazioni tratte da Se Venezia muore cit. pp. 103-104. [6] A. Magnaghi, La regola e il progetto cit., p. 18. [7] S. Settis, Paesaggio Costituzione cemento cit., p. 200. [8] U. Vincenti, Diritto senza identità. La crisi delle categorie giuridiche tradizionali, Laterza 2007, p. 57. Promotori: Angelo Marino, Michele Zanetti, Daniela Zanussi, Alda Gambino, Carlo Nizzero, Alessandro Pattaro. Aderenti all’appello: A. Magnaghi, S. Settis, L. Mercalli, F. Vallerani, M. Quaini, G. Dematteis, A. Passi, L. Puppato, E. Manzato, M. Poloni, A. Bagatella, E. Scandurra, R. Pazzagli, P. Bonora, C. Saragosa, G. Ferraresi, R. Paloscia, T. Perna, R. Gambino, F. Pascarandolo, M. Morisi, M. Arena, G. Scudo, G. Paba, A. Mengozzi, L. Bonesio, F. Lo Piccolo, P. Bevilacqua, G. Volpe, D. Poli, R. Bobbio, O. Marzocca, L. Pellizzoni, G. Brogiolo, S. Malcevschi, Domenico Luciani, Romeo Scarpa, Umberto Zandigiacomi, Emilia Peatini, Anna Maria Colavitti, Claudio Greppi, Marco Prusicki, Paolo Baldeschi, Leonardo Rombai, Annalisa Colecchia, Luciano De Lazzari, Antonella Lorenzoni, Mario Canzian