La Società dei Territorialisti e delle Territorialiste piange la scomparsa del suo Presidente Alberto Magnaghi, avvenuta a mezzogiorno del 21 Settembre. Ne tracciamo un primo ricordo nel testo sotto, e ci apprestiamo da subito a proseguire il suo lavoro – che, come quello di tutti i grandi, non si è certo concluso insieme alla sua vicenda personale.
Partiremo dal Convegno romano del 6-8 Ottobre, che Magnaghi più di tutti ha contribuito a preparare, lavorando fino a pochi giorni fa, e che sarà la prima occasione per trasformare una memoria dolente in una nuova spinta propositiva.
Alcuni dei più anziani di noi conobbero Alberto Magnaghi quando, a metà degli anni Settanta, si avventurò nella creazione dei Quaderni del Territorio scommettendo sulla collaborazione nostra e di molti altri all’impresa. Ci fece capire che, certo, bisognava continuare a tener d’occhio i sommovimenti che il capitalismo di quegli anni provocava intorno a noi; ma ci indicò anche la dimensione in cui, per lui, bisognava mettere a fuoco quei sommovimenti: il territorio, appunto.
Quasi nessuno prima di lui, fra gli operaisti di cui faceva parte, aveva compreso che una partita decisiva si giocava proprio lì; infatti, occorreva aguzzare lo sguardo e l’ingegno per capire perché sul territorio si svolgeva in gran parte l’avvento del post-fordismo, con tutto ciò che ne conseguiva. In tanti considerarono la cosa con sufficienza e si accontentarono di insistere a dire che l’epoca della catena di montaggio era finita e che, in fondo, con l’incalzante dematerializzazione tecnologica la dimensione geofisica diveniva inessenziale, e forse non era da prendere troppo sul serio, malgrado cominciasse letteralmente a dar luogo al moltiplicarsi di disastri ecologici.
Fu allora comunque che Alberto di fatto gettò le basi di ciò che oggi chiamiamo territorialismo e, ormai, soprattutto eco-territorialismo: qualcosa che cominciò a profilarsi negli anni Ottanta e poi a definirsi nettamente nei Novanta.
Da quel momento, pochi fra i ricercatori, più o meno scalzi, che erano attenti alla crisi ecologica come qualcosa che riguarda i luoghi ancor più che il “pianeta”, restarono immuni dalle sue sollecitazioni a partecipare alle ricerche che promuoveva. Fu così che nacquero progetti innumerevoli di studio e di azione dispiegati da Nord a Sud, che Alberto ha coordinato e orientato di fatto fino ieri.
Da allora, il suo stesso percorso si è precisato sempre meglio. La critica sempre più marcata dell’urbanizzazione infinita del mondo si è intrecciata con la prospettiva del “progetto locale”, e con la promozione instancabile delle ricerche e degli incontri fra i saperi che chiamava a rinnovarsi attorno alla cura degli ecosistemi umani e naturali dei luoghi.
Territorio dell’abitare, sviluppo autosostenibile, municipalismo federalista, territorio bene comune, bioregione urbana, sono solo alcuni degli strumenti che Alberto ha approntato e proposto man mano ai suoi interlocutori, affinché li facessero propri, li sviluppassero e applicassero alla progettazione condivisa della rinascita dei territori per contrastare la disastrosa competizione globale fra paesi, economie, società e potenze incapaci di accorgersi del mondo.
La Società dei territorialisti e delle territorialiste nacque nel 2011 in un momento della vita di Alberto in cui, terminata la propria attività universitaria, altri avrebbero pensato a riposarsi o a svolgere i loro studi d’interesse strettamente personale. Alberto, al contrario, vide in quella condizione l’occasione migliore per chiamare a raccolta chiunque gli sembrasse sensibile al progetto di attiva aggregazione che aveva ideato. Non ha mai smesso di credere in quel progetto, di perfezionarlo e di spingerci a proseguire nell’impegno.
Se siamo degni di tanta testardaggine, è difficile da dimostrare. Ma il fatto che, dopo dodici anni, la Società continua a promuovere idee, ricerche e buone pratiche sociali e politiche, vuol dire forse che le energie profuse da Alberto non esauriranno facilmente il loro potere di persuasione e di coinvolgimento.