Giacomo Becattini propone questa “parabola” ( che chiama “La metafora del lago”, scaricala da questo link) alla società dei territorialisti: una sintetica guida alla lettura delle buone pratiche per il nostro Osservatorio. Questa parabola precede un bell’intervento dello stesso Becattini sulla figura di Pietro Leopoldo. Lo puoi leggere sotto, o scaricare da questo link.

Giacomo Becattini

La lezione di Pietro Leopoldo.

Il buonsenso che già fu caposcuola

Ora in parecchie scuole è morto affatto,

la scienza sua figliola

l’uccise per veder com’era fatto

(Giuseppe Giusti)

 

1.Correva l’anno 1770 e Pietro Leopoldo Asburgo Lorena, partendo per Vienna, dove stava per diventare imperatore, lascia dietro di sé un pacco di “Relazioni sul Governo della Toscana” che costituiscono, mutatis mutandis, un suggerimento prezioso per il territorialismo attuale. Le relazioni, infatti, costituiscono un resoconto dettagliato della situazione del Granducato, che doveva servire da guida al suo successore nel tronetto di Toscana, guidandolo nel nuovo, confuso ed eccitante, mondo allora appena alle viste.

Può essere interessante – nel non meno confuso, ma forse meno speranzoso, mondo di oggi- vedere come Pietro Leopoldo, illuminista per grazia d’Iddio e della dinastia asburgica, inquadrasse il suo compito di granduca di Toscana, nei massicci volumi di Relazioni sul governo della Toscana, a cura di  Arnaldo Salvestrini, editi da Olschki nel 1969,.

2.Le cose da dire su questo memorabile documento sarebbero tante – e io non le saprei dire, qui ci vorrebbe uno storico! – ma in questa sede io mi soffermerò solo su certi aspetti del rapporto di  Pietro Leopoldo col “territorio”, ovvero i popoli e il loro habitat,del suo mini-regno, onde trarne qualche lume (!) per la nostra campagna neo-territorialistica.

Il “territorio in senso stretto”, è ovviamente presente nella descrizione geografica, minuziosa, insistita , della Toscana, di Pietro Leopoldo, a dimostrazione dell’esigenza, per il buongoverno dei popoli, di una conoscenza minuta, ravvicinata, da più angoli visuali, dello stato fisico delle diverse porzioni del granducato. La natura, coi suoi fiumi, monti e vallate, ma anche coi suoi vigneti e boscaglie e ,infine e soprattutto, zone malariche e pericolose (la bonifica delle Maremme come incubo granducale docet), vi occupa molto spazio;- in vista dell’esigenza di rispettarla e, ove appaia bisognevole, riassettarla.

3.Ma ciò che più ci interessa di quelle relazioni – perché più nuovo e significativo –  sono le diverse comunità locali, evocate tutte scrupolosamente, ognuna delle quali, anche se piccola, è vista come un piede, diciamo, del millepiedi toscano.

Prendiamo l’ esempio dell’esame di due “popoli” contigui, i Pratesi e i Pistoiesi.

Si parte dall’infrastruttura produttiva:“La città di Prato è popolata  sufficientemente; vi è molta industria e commercio, in specie per le sue manifatture di pannine, lavori di lana, rame e cartiere, che forniscono quasi tutto lo Stato. Si passa poi alla gente:La nobiltà vi è mediocremente istruita; i benestanti si danno tutti al commercio e il popolo basso è rumoroso, ignorante e superstizioso assai. Gli ecclesiastici sono numerosi, ignoranti e superstiziosi  ugualmente. E infine l’istruzione. Vi sono a Prato vari maestri del pubblico, oltre quelli  del collegio,una pubblica biblioteca ed inoltre un Maestro di disegno. Il collegio di Prato  fondato dalla famiglia Cicognini è una bella e vasta fabbrica con sufficienti entrate.

Di contro:La città di Pistoia è mediocremente popolata… vi è molta nobiltà,che è sufficientemente comoda, ma vive per la maggior parte oziosa e poco si applica…Il popolo è piuttosto buono, ma la nobiltà e il  popolo sono molto attaccati alle massime della Corte di Roma.. Il quadro pistoiese è dunque piuttosto torpido e infido, mentre quello pratese tende, nella sua maggior decifrabilità, all’eccitato. In conclusione, nota Pietro Leopoldo: “ vi è molto meno da temere in Pistoia che in Prato, per essere il popolo  più docile….Ma, sembra aggiungere … anche meno da sperare.

Possono sembrare stereotipi giornalistici, ma quando si scenda all’esame dei dettagli, ci si accorge, dalla gamma dei giudizi, che sono il risultato di conoscenza, riflessione e valutazione, diretta o indiretta, non diciamo approfondita, ma certamente accorta, delle situazioni prevalenti nelle diverse particole del Granducato.

Gli stereotipi psicologici locali confluiscono poi nel carattere medio dei toscani di allora. Un carattere medio, che il Granduca tratteggia come segue:La nazione toscana, che in genere è di talento, viva e dolce di carattere, è facilissima a regolarsi colla buona maniera e colla persuasiva.. il carattere degli abitanti della Toscana in genere è dolce, docile, di poco coraggio, ma accorto,poco sincero, di molta finezza, portato all’interesse e a cercare con raggiro di pervenire ai suoi  fini…Estremamente portati alla curiosità…sempre disuniti fra loro, diffidenti e invidiosi gli uni degli altri.

In breve ogni “popolo” della Toscana granducale, da Firenze a Montepulciano, trova nelle Relazioni di Pietro Leopoldo un ritrattino delle sue condizioni  storico-naturalistiche  e, quel che conta ancor più, ai nostri effetti, socio-psicologiche.

4.Cosa vogliamo dire con questa riesumazione di vecchie scartoffie? Vogliamo dire che nell’illuminismo granducale toscano dell’ultima parte del XVIII secolo, c’è la percezione abbastanza precisa dell’importanza di una conoscenza  minuta, da un lato del carattere dei diversi ceti –colti a livello locale – nonché  delle caratteristiche del “territorio”, coi loro limiti e  le loro potenzialità. Insomma, in  termini attuali, per dirla in breve, delle fondamenta naturalistiche originarie e derivate e di quelle storico-psicologiche del progresso umano.

Il pensatore Italiano dell’ottocento che più si avvicina a questa settecentesca “intuizione del mondo” mi par che sia Carlo Cattaneo con la sua “terra costrutta dall’uomo”.

Dopo Cattaneo… il vuoto. O quasi. Solo l’accoppiata  “economisti agrari – sociologi rurali”, – seppur insidiata dalla ricorrente tentazione di scimmiottare la scienza economica d’oltr’Alpe – mantiene acceso ,con alcune ricerche di grande respiro, (Franchetti Sonnino, Valenti, et coetera), il focherello delle  indagini a 360 gradi.

Qual’ è la linea di cesura fra il pensiero economico rivolto anzitutto alla totalità storico-sociale e quello che si rispecchia in  una documentazione quantitativa e, magari, non si appaga senza una dimostrazione rigorosa?

Nei quartieri alti dell’economia ci si inorgoglisce molto del fatto che alcuni teoremi economici possono essere dimostrati al pari di quelli delle scienze dure, o del fatto che, con espedienti ingegnosi si sia trovato il modo di mimare certe modalità del cambiamento,  ma il prezzo che paghiamo per la gioia della “dimostrazione rigorosa” o della documentazione statistica, è dato spesso dall’irrilevanza pratica – o peggio!- delle conclusioni raggiunte e, di norma, dalla impossibilità di rivestire le nude ossa dell’analisi, con una verifica appropriata sull’accidentato terreno dei fenomeni.

5.I problemi di governo che si pongono a Pietro Leopoldo sul finire del XVIII secolo sono formidabili e lui non dispone di un’analisi fondi-flussi come noi, oggi. Ma l’intuito del buonsenso –non del senso comune (vedi epigrafe), si badi!- lo guida a disegnarsi un metodo d’indagine, che distingue fra quelli che oggi chiamiamo fattori fondo (il territorio e il carattere dei popoli) e quelli che oggi chiamiamo fattori flusso (le azioni dei singoli e del governo).

Dal punto di vista del governo di un luogo, ogni intervento dovrebbe incorporare la consapevolezza dei suoi effetti sul territorio e sul carattere medio rappresentativo dei soggetti. Quindi una misura che vale per il popolo di Prato, come ad es. una variazione di certe tariffe daziarie  e non di altre, non varrebbe automaticamente, poniamo, per il popolo di Siena.

Ogni decisione che interessi una entità multiforme e differenziata come la Toscana, deve esser conformemente calibrata sulle proprietà dei popoli coinvolti. Governare non è solo emettere editti, anche se famigerati, o famosi –dipende- come quello sull’abolizione della pena di morte, ma anche e soprattutto, significa intervenire per convogliare energie rinvenute con l’analisi, onde trasformare il “luogo”, popolo e territorio, in una certa direzione.

Una ricca modulazione di interventi, calibrata sullo stato di una certa porzione di territorio e sul “carattere rappresentativo” del popolo che vi abita stabilmente, è dunque il messaggio che Pietro Leopoldo ci trasmette coi suoi tomi  di Relazioni sul governo della Toscana.

6.Abbiamo così gli elementi di base per immaginare una funzione del benessere sociale di un certo popolo, insediato in un dato luogo, e per valutare propriamente l’implementazione e/o il deterioramento del suo territorio conseguenti ad una certa decisione. L’attività di pianificazione territoriale si fonderebbe quindi  sulla individuazione e messa a fuoco della composizione media dei caratteri di una popolazione e sull’analisi dello stato del territorio nelle sue infrastrutture. Le forze del cambiamento e i vincoli alla nostre ambizioni e decisioni sono già lì.

In conclusione, qual è il messaggio che Pietro Leopoldo ci trasmette? Tale messaggio si compone di due parti: a) la consapevolezza dell’interdipendenza dinamica dei fenomeni sociali;  b) la necessità di “sporcarsi le mani” con la tipizzazione del comportamento dei diversi popoli. Popoli, possibilmente numerosi abbastanza perché le più diffuse idiosincrasie individuali vi si compensino apertamente, onde lasciare che emergano i “bernoccoli” dei popoli stessi. Un programma di “ricerca per l’intervento” questo, dunque, che rivela una sottostante grande domanda di psicologia sociale.

7.Caliamo il discorso di Pietro Leopoldo nei termini espliciti di una prassi di sviluppo regionale fondata – diremmo oggi- su di un modello fondi-flussi. Ebbene, l’insegnamento che ne deriviamo è che i fondi  sono due, le infrastrutture produttive e il carattere della gente, e i flussi sono dati dalle singole decisioni della gente, governo incluso. Non può sfuggire il fatto che, se ci si propone una certa opera – poniamo agevolare  l’attraversamento di un fiume col costruirvi un ponte – bisogna fare i conti con le condizioni di costo di realizzazione dell’opera e con una previsione di futuro utilizzo della medesima; senza dimenticare che essa implica la rinuncia ad una scuola, o a un tribunale, o a uno stadio, e così via. E quindi, implicitamente, ai molteplici assetti del territorio compossibili.

Quando passiamo al carattere della gente, se lo vediamo troppo frivolo  o troppo proiettato sugli affari, possiamo disegnare una Università, un conservatorio o altra istituzione culturale, che innalzi il tono culturale della città. Questo equivale a impiegare risorse per instillare interessi che paiono scarsi, onde migliorare il mix caratteriale formatosi nei secoli, diciamo  “spontaneamente”; in realtà sempre in forma mista: individuale e sociale. Nei richiami fatti a Prato e Pistoia è chiaro l’interesse di Pietro Leopoldo ad un mix, diciamo, fra il carattere pratese e quello pistoiese.

Ebbene, ciò che conta è che il governo locale sia sensibile alle diverse conseguenze della costruzione di uno stadio o di auditorum sul carattere medio del cittadino. Questo modo di porre il problema è caduto in desuetudine da quando le decisioni economiche, anche pubbliche  non fanno più riferimento agli effetti delle misure stesse sul “carattere statisticamente rappresentativo” dei luoghi. Una grossa perdita di sensibilità per il mix caratteriale prevalente, rispetto al 1770!

Analogamente problemi del tipo bonifica delle Maremme non assillano più i nostri governi centrali e locali come dimostrano, in un modo o nell’altro, le cementificazioni selvagge e i mucchi di spazzatura sulla strada.

In conclusione, io ritengo che un passo avanti nell’impostazione corretta dell’intervento pubblico sul territorio possa esser rappresentato da un ripensamento sistematico di queste Relazioni sul governo della Toscana di più di due secoli fà.