Commissione n° 2
La questione epistemologica e il linguaggio, il rapporto tra le discipline (trans-inter-multi-extra….)”.
Coordinatore: Luisa Bonesio (geofilosofia@libero.it)
La comm.ne dovrebbe affrontare la questione: teniamo gli statuti di ogni disciplina e creiamo un glossario interdisciplinare, oppure proponiamo un linguaggio trans-multi-interdisciplinare, un linguaggio condiviso… che sia comune a tutti noi? Sarebbe in ogni caso utile che ogni disciplina presente in questa SdTer fornisse/suggerisse dei testi di riferimento, che tutti dovremmo leggere per capire da che linguaggi e , metodi e obiettivi partiamo: testi contemporanei, che hanno come autori membri del comitato scientifico o di altri autori, a carattere generale. Per andare verso un linguaggio comune.
Prime adesioni: Giovanni Azzena, Marioilna Besio, Maddalena Brunasti, Davide Cinalli, Daniela Anna Calabi, Lucia Carle, Davide Cinalli, Angelo Maria Cirasino, Augusto Cusinato, Lidia Decandia, Flavia De Girolamo, Giuseppe Dematteis, Stefano De Rubertis, Michele Feliziani, Giorgio Ferraresi, Patrizia Ferri, Jean Lauxerois, Alberto Lipparini, Pier Giorgio Massaretti, Salvo Messina, Carlo Patrizio, Giovanni Rabino, Luisa Rossi, Massimo Rossi, Simona Rubino, Angelo Salento, Enzo Scandurra, Marcello Tanca, Marcelo Zarate
Scarica il documento redatto per il Congresso Fondativo da Luisa Bonesio (26 novembre 2011)
MATERIALI
scarica: Lucia Carle, “Dai contenuti dell’identità agli interventi sul territorio” (ottobre 2011)
scarica: Ottavio Marzocca, “Lo spazio nella filosofia” (aprile 2011)
scarica: Enzo Scandurra, “Ambiente, lavoro e università”, da il manifesto del 22/10/2010
scarica: Enzo Scandurra, “Fare ricerca… scartando”, 2009
RIFLESSIONI
4 Aprile 2011, Giorgio Ferraresi su “La questione epistemologica e il linguaggio, il rapporto tra le discipline. Nei miei vari scritti per la scuola territorialista ho sempre fornito contributi sulle questioni epistemologiche e delle forme di razionalità del pensiero ecologico e locale: in particolare sulla critica alla dittatura della “razionalità strumentale” che è alla base del genocidio dell’agricoltura e che sta nel codice genetico dell’urbanesimo industrialista; e sull’emergere della razionalità comunicativa e della modalità della cura nella rinascita della attività primaria e di tutto l’agire ecologico. Credo in particolare utile che lo stesso documento sopraccitato sulla “neoruralità” sia messo a disposizione anche della CT 2 per alcuni fondamentali passaggi appunto di natura epistemologica quali quelli ora richiamati anche a reinterpretazione (territorialista) della svolta ambientale; salvo fornire maggiori riferimenti bibliografici miei o di altri appena avrò tempo e modo”.
…
Gentili territorialisti,
mi permetto di entrare a mio modo nel dibattito avviato da Bonesio, Paba, Scandurra, Quaini ecc. Lo studio del territorio che non attraversa il sistema scolastico dalla fascia primaria alla secondaria superiore – con tutti i limiti che attualmente lo contraddistinguono – resta un ambito di studio solo teorico. Perché entri nella coscienza comune – e perché abbia un senso tutto il lavoro fatto e da fare – la scuola deve diventare il nuovo laboratorio di ricerca e approfondimento. O si passa da qui o non si va da nessuna parte. O si assumono gli studenti come patterns, archetipi della società, relatori e testimoni di mondi di vita (Magnaghi), o il territorio rimane un oggetto di studio accademico, da conservatorio. “Territorializzare” la scuola e “scolarizzare” il territorio è oggi una necessità, tanto più in quanto il patrimonio di saperi che essa custodisce (e in parte svilisce) ha solo bisogno di trovare un coordinamento, di essere fecondato da nuovi contenuti.
Un cordiale saluto
Angelo Marino
Cara Luisa, ti mando alcune mie riflessioni sul tema
Innanzi tutto una precisazione che serve (almeno a me) per superare il disagio nell’affrontare una questione che può apparire apparentemente astratta come la “questione epistemologica, i linguaggi e i rapporti tra discipline”. Il senso che noi diamo alla parola “territorio” rappresenta già di per sé una rottura epistemologica con quanto viene ad esso convenzionalmente attribuito dal linguaggio accademico, ma anche quotidiano: qualcosa di non vivente, inerte, mero supporto fisico. La definizione che ne dà Alberto Magnaghi: fecondazione della natura da parte della cultura, introduce un elevato livello di complessità di questo sistema per cui bisogna tenere in considerazione tutti feedback che le parti del sistema si scambiano tra loro. Ma Alberto introduce un secondo livello di complessità nel momento in cui afferma che questo “nostro” territorio è generato da un atto d’amore. Già da sola, questa definizione fa cadere uno dei capisaldi della scienza moderna (galileiana), ovvero l’assunto della netta separazione tra lo scienziato che osserva il fenomeno e il fenomeno stesso. Entrambi appartengono allo stesso sistema di riferimento, entrambi subiscono l’uno il condizionamento dell’altro sicché, come fa rilevare giustamente Alberto, non si dà territorio senza l’esistenza della comunità umana.
Giunti a questo punto qualcuno ci potrebbe accusare di essere “ideologici”, di non partire dall’osservazione della realtà ma di voler affermare un’idea astratta che si è formata nelle nostre menti accecate da illusioni fantastiche. E qui riprendo un attimo il discorso delle discipline e del riduzionismo ad esse inevitabilmente associato. Secondo Marcello Cini, il riduzionismo è un processo conoscitivo in cui la mente “proietta le sue categorie sulla realtà per ordinarla, estraendone oggetti e relazioni”. E infatti questo concetto, il territorio, assume connotati diversi nelle diverse discipline. Nella mia facoltà di ingegneria è prevalente l’associazione tra territorio e suolo. I due termini sono pressoché sinonimi. Ora io penso che noi non dobbiamo limitarci semplicemente a sostenere che nella nostra disciplina (l’urbanistica e vicini di casa) questo concetto ha un altro significato (per esempio quello sopra citato). Noi abbiamo un compito assai più impegnativo.
C’è una frase di Eliot che afferma: “quand’è che la saggezza si è trasformata in conoscenza e quando la conoscenza si è trasformata in informazione?”. Partiamo da qui. Alla base dei nostri attuali drammi di rischio di catastrofe eco sistemica c’è proprio la frantumazione disciplinare delle scienze prodottosi nel corso del secolo Novecento (quella che Bateson chiama ecologia delle idee). L’esplosione del reattore di Fukushima – sostengono alcuni esperti – è riconducibile al fatto che il muro di sostegno che proteggeva i gruppi elettrogeni (che entrano in funzione non appena c’è una interruzione di corrente) non era stato progettato per un’onda dell’altezza di 10 metri, ma solo per un’onda alta al più 5 metri. Il non funzionamento del gruppo elettrogeno avrebbe messo fuori uso le pompe di raffreddamento con il conseguente riscaldamento del nucleo.
Anche questa volta, dunque, il danno è di natura esclusivamente tecnica e dunque rimediabile in futuro (con un’altra tecnica). Un atteggiamento improntato alla saggezza (e non all’informazione, per tornare al tema di Eliot) dovrebbe indirizzarci verso l’assunzione del principio di precauzione, ovvero se non sei sicuro delle conseguenze delle tue azioni, evita di agire.
Il problema è che seppure le discipline hanno (e continuano a farlo) svolto un innegabile ruolo positivo (coronato da un certo successo) nella costruzione della moderna società industriale, tuttavia esse si sono sempre più parcellizzate e orientate verso i bisogni di efficienza e di capacità competitiva che il sistema economico chiede alla società e al mondo scientifico (Bevilacqua). E così, come afferma Vandana Shiva, il nostro mondo complesso, sferico, multidimensionale è stato trasformato in un mondo piatto, bidimensionale.
Il riduzionismo metodologico di galilei (tutto sommato ancora efficiente per studiare fenomeni inanimati) si è trasformato in riduzionismo ontologico con conseguente perdita di grandi e rilevanti informazioni. Il nostro secolo si afferma come il secolo della frammentazione e della sconnessione.
In un articolo su Il Manifesto del 2009, in occasione del vertice di Copenaghen, così scriveva Marcello Buiatti:
Una delle caratteristiche del nostro tempo é la tendenza alla frammentazione, caratteristica dei sistemi rigidi in momenti di crisi. La frammentazione agisce innanzitutto a livello sociale creando una aumento continuo dei conflitti ma é presente anche a livello concettuale perché é prevalsa una visione meccanica del Mondo che ce lo fa pensare come costituito di pezzi indipendenti che possono essere modificati a volontà ad uno ad uno e poi assemblati dagli esseri umani secondo i loro progetti. Per questo tendiamo ad affrontare solo pezzi della realtà, dimenticandoci delle connessioni dei sui componenti e non curandoci in alcun modo delle dinamiche in arte intrinsecamente imprevedibili dei processi. Questo atteggiamento é presente a livello globale e ci porta in questo momento storico a considerare come non collegate le quattro crisi che stiamo affrontando:
ambientale
sociale
energetica
economica.
Ciò rende frammentaria ed inefficace lo nostra risposta , che diventa facilmente governabile dai poteri forti mondiali che invece una visione di insieme per quanto alienata e pericolosa per la nostra stessa sopravvivenza la posseggono e sanno come muoversi . Quanto sta avvenendo a Copenhagen dimostra tutto.
Per terminare. Concordo perfettamente con l’idea gambiana di Massimo Quaiani (e di Luisa) di partire dai problemi e non dalle discipline facendo proprio il motto di Galilei quando affermava che “prima vengono le cose e poi i nomi e non i nomi prima delle cose”.
Enzo Scandurra
P.S. allego, come suggerito da Luisa, due miei articoli che possono fornire un contributo in tale direzione (in allegato)
Cari Colleghi,
con l’autorizzazione dello scrivente, inoltro in calce le riflessioni di metodo espresse da Massimo Quaini, sulle quali mi trovo concorde. Credo anch’io che la posta in gioco sia una riflessione che superi le definizioni disciplinari, a favore dei modelli ermeneutici interdisciplinari messi in atto nelle nostre ricerche, e di cui la stessa SdT è un esempio programmatico. Quanto in certi casi i recinti disciplinari siano incapaci di esprimere (e forse anche di contenere) la sostanza innovativa di molti nuovi approcci a oggetti e concetti in via di costante risignificazione, credo lo possano testimoniare molti di noi (la geofilosofia, per esempio, è sostanzialmente ignorata nei suoi SSD, ma intrattiene scambi molto fecondi con geografia, architettura letterature antiche, storia, geopolitica ecc.).
Inoltre bisognerebbe forse cercare di riflettere sulla contiguità o parziale sovrapposizione/articolazione al concetto di territorio di concetti e campi operativi come “luogo” e “paesaggio”. Il territorio è un luogo o un insieme di luoghi? Quali condizioni sono necessarie per riconoscervi un luogo (un progetto locale)?
Ma la realizzazione di un luogo /territorio non è contemporaneamente la realizzazione (mantenimento, disgregazione, costruzione, progetto ecc.) di un paesaggio locale che, in quanto tale, è una dimensione complessiva e complessa(urbano e rurale) ed esprime l’orientamento e la realizzazione dei valori di comunità/società nel tempo?
Attendo considerazioni (e anche i titoli “territorialisti” delle vostre pubblicazioni.
Cari saluti a tutti,
Luisa Bonesio
Cara Luisa,
La mia idea, molto gambiana, è che bisognerebbe fare finta che le discipline non esistessero più, a vantaggio ovviamente dei problemi sui quali ciascuno di noi si misura sulla base dei suoi interessi e della sua preparazione più o meno sbilanciata su una o più discipline.
Certo, le discipline continuano a esistere nel nostro ordinamento universitario e allora potrebbe essere interessante domandarsi che cosa sono diventate in un periodo in cui si sono svolti molti processi di ibridazione o meticciato disciplinari. Proporrei in altri termnini di fare una bella inchiesta sulle attuali delimitazioni disciplinari e soprattutto sull’esistenza o meno di linguaggi comuni e di pratiche di superamento degli steccati. Di recente ho presentato una relazione abbastanza centrata su alcuni di questi temi che appena ripulita ti manderò.
Un caro saluto
Massimo Quaini
Cari Colleghi,
incaricata da Alberto Magnaghi di coordinare la Commissione sulla “questione epistemologica, i linguaggi e i rapporti tra le discipline”, chiedo intanto ai membri del Comitato dei garanti di farmi avere (indicativamente entro il 10 aprile p.v.) riflessioni, indicazioni metodologiche, suggestioni che mi possano orientare nella stesura di un primo documento che poi sottoporrò come base di discussione e di confronto a quanti hanno aderito a questa commissione.
Nello stesso tempo pregherei ciascuno di voi di indicare gli scritti di cui è autore che ritiene possano essere annoverati tra i testi di riferimento essenziali (e iniziali) della SdT, così che si giunga a stendere un inventario da inserire poi nel sito.
Vi ringrazio molto fin d’ora della collaborazione.
Con i saluti più cordiali,
Luisa Bonesio